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martedì 31 marzo 2015

Sinfonia di un bombarolo


   La  faccia       al vento
e la gola      al vino


          di Matteo Tassinari
Dopo non al denaro, non all’amore, ne al cielo, De André impiegò due anni di gestazione per il suo nuovo lavoro: “Storia di un impiegato e di una bomba” (il vero titolo, poi cambiato) divenendo solo “Storia di un impiegato” per motivi politici e poi non ha De André non mai amato esporre le sue idee politiche, pur non nascondendole, inevitabilmente, con i testi delle sue canzoni.
Antologia Spoon River
L'idea del concept album, formula ripresa in modo prepotente da Faber,  si trova anticipata in una intervista rilasciata dal cantautore nel 1972, quando a tenere banco era ancora il recente LP sull'Antologia di Spoon River di Edgar Lee Master, una collezione di scritti che lo scrittore americano pubblicò tra il 1914 e il 1915 sul Mirror di St. Louis: "L'intenzione era quella di fare un disco sull'anarchia. Da tempo sono al lavoro per incontrare persone che l'anarchismo, l'hanno vissuto da vicino e frequentandoli, non solo mi trovo bene con loro, ma approfondisco meglio il significato del termine".

Fabrizio non faceva nulla per nasconderlo e per questo forse i Servizi segreti l'hanno tenuto in osservazione per almeno 15 anni: "Il mio identikit politico è quello di un libertario tollerante. Se poi 'anarchico' l'hanno fatto diventare un termine orrendo. In realtà vuol dire solo che uno pensa di essere abbastanza civile da riuscire a governarsi per conto proprio, attribuendo agli altri, con fiducia, le stesse capacità".

Hanno        sempre
pagato     di persona
è senz'altro la più onesta di tutte, sempre secondo Faber. E non solo. Perché per lui gli anarchici hanno sempre pagato di persona senza deleghe a chicchessia, senza coinvolgere gruppi o mamme e papà, o famiglie intere. A dire il vero, piuttosto che con persone che avevano "vissuto l'anarchismo" continuò a lavorare con marxisti leninisti, Giuseppe Bentivoglio  (paroliere e giornalista noto per la sua collaborazione con Fabrizio De André) e Roberto Dané (produttore e paroliere) per i testi e Nicola Piovani per le musiche, per non scrivere liriche, discutendo in parecchie occasioni come Fabrizio stesso e Roberto Dané ebbero modo di sottolineare.
De André
Il brano, è per un disco poetico, umano, spirituale, intimista, mentre gli attivisti (i soliti), la solita maggioranza non silenziosa, propendevano per un contenuto più politico, sociale, culturale, una sorta di manifesto. Vinsero loro, ma non del tutto, infatti anche se Fabrizio si mise le mani nei capelli, si prese altre soddisfazioni. Ne nacque però una serie di slogan, una sorta di pennellate davvero mirabili e di sicura efficacia: "verremo ancora alle vostre porte e grideremo ancora più forte, per quanto voi vi crediate assolti siete per sempre coinvolti", Cantavano il disordine dei sogni "gli ingrati del benessere francese" oppure "resterai più semplicemente dove un attimo vale un altro senza chiederti come mai...". Un LP con un idioma attuale, avulso dagli stereotipi di narrazione per ormeggiare a figure e un velame di carattere introspettivo per raggiungere ad immagini oniriche di origine reichiano, fondendo rudimenti reali e surreali costruiti sul medesimo epicentro evolutivo della storia.
"Negli anni '60 e '70, molte conclusioni politiche sono finite con attentati e morti da entrambi le parti. La prerogativa principale del bombarolo qui descritto da De André, è di agire da solo. Non prende comandi da alcuno. E' un appartato, un individuo reale che intende terminare nel migliore dei modi la sua operazione, prendendo di mira sia chi non ha voglia di ribellarsi e attende la pioggia per non lacrimare isolato. 
 Profeti molto acrobati della rivoluzione che probabilmente pensano di poterla fare soltanto coi libri, e lì si sono fermati. L'Impiegato ha capito che l'unico modo per farsi sentire, scuotendo la società a cannonate, affinché nessuno sia privato delle proprie libertà perché rifiuta le leggi del branco".
Discorso sintetizzato di Fabrizio De André sul '68

Il risultato
fu un     album
che venne criticato da sinistra per essere troppo moderato e da destra per essere troppo di sinistra, ma venne accolto dalla gran parte degli appassionati come un disco che colpisce al cuore e alla testa. Di certo, appena sentito il disco, Fabrizio si mise le mani nei capelli: "Lo trovai troppo schierato e io non voglio evidenziare così palesemente le mie idee, anche perché non è detto che siano quelle giuste". Molti fan lo considerano il miglior album della produzione faberiana. A lungo si è dibattuto se Dané (produttore) e Bentivoglio (paroliere) non avessero forzato troppo la mano a De André, cercando di evitare stravaganze e camei composti da parole che a Fabrizio piacevano.
La bomba non ha una natura gentile, Boston 
Emblematica
risposta
di Dané alla domanda postagli da Riccardo Bertoncelli, il giornalista di "Gong" colpito nell'Avvelentata da Guccini: "Guarda, a De André nessuno dava nessun tono, marxista o che altro. De André era De André. Sceglieva lui, anche quando stringeva alleanza e collaborazioni, anche quando altri erano molto intensamente presenti”. Credo che non esageri se qualcuno sostenesse che Faber è stato tra i giganti della poesia italiana ed europeo del secolo passato, anche se lui ha sempre fatto di tutto per non essere un poeta in canzone. Etichetta troppo pesante da reggere e lui volevo essere se stesso, in più era pigro.
Senza vergogna, lo scrivo, lo penso e lo dico, o se volete, possiamo spostare gli ordini delle opzioni, il risultato sarebbe sempre il culmine dell'apogeo, con descrizione e rappresentazioni come: "illuminando al tritolo chi ha la faccia e mostra solo il viso sempre gradevole, sempre più impreciso" e così avanti fino allo sputo della beffa. Perché la bomba non ha una natura gentile ma spinta da imparzialità sconvolge l'improbabile intimità. Come un incalzare violento della storia, forzare i tempi perché i soprusi sono diventati troppi e limitanti. Da qui la fusione coi poeti della Beat Generation, grazie anche all'amicizia in comune di Fernanda Pivano, traduttrice di molti testi di letteratura americana e non e instancabile pacifista oltre che amica personale dei poeti del '68 Usa. 




Lo sconosciuto più conosciuto
E ancora era lui il filtro, era sempre lui a mediare in prima persona nonostante la sua cristallina timidezza e riservatezza assoluta, lo chiamavano lo sconosciuto più conosciuto d'Italia e sempre lui a sviluppare il meglio e alla fine era sempre lui a decidere. Questa presenza attiva di Faber, a mio modo di leggere la questione, è sempre stata la sua grande bellezza. L'esserci sempre, metterci sempre, come s'usa dire oggi, la faccia, difendendo i suoi spazi e guai ad invaderglieli, giustamente.
Cristiano, grandissimo musicista.
Non a caso sostituì Pagani come arrangiatore
La cifra
dei suoi

successi
e insuccessi, portano tatuati la sua bella faccia, col ciuffo più attraente dell’Universo. Nessuno al di fuori di lui può ritenersi responsabile di quello che ha fatto e come l’ha fatto, sempre partendo da zero. C'è da dire che in una intervista del 1973, parlando dell'album uscito da poco (la registrazione si era chiusa in luglio nella sala Ortophonic di Roma) Fabrizio stesso espresse un certo disappunto: "Ne sono insoddisfatto. L'avevo immaginato diverso, ma poi la realizzazione mi ha un po' deluso. Materiale dentro ce n'è molto, ma io parlo della fase tecnica. Forse io stesso avrei potuto cantare meglio". 
Anni di piombo, la disfatta
      Storia di
un impiegato
è comunque l'album più schierato, targato, di parte, esplicito nelle posizioni politiche (insieme alla canzone La domenica delle salme dell'album “Le nuvole”) di De André. E’ vero che De André non aveva mai fatto mistero delle sue simpatie anarchiche, ma queste erano note agli "intimi", non al grande pubblico che lo conosceva solo attraverso le canzoni. In anni più recenti è stato giudicato da Bertoncelli, critico musicale, come un disco verboso, alla fine datato.

Giovanna Zucconi,
in una trasmissione Tv, ha rivelato lo spunto letterario di alcuni concetti espressi nel disco. Si tratta di una raccolta del poeta russo Evgenij Evtusenko, La centrale di Bratsk, che De André aveva letto e commentato come suo solito prima e durante la stesura dell'album. Quando De André andò a Roma da Giuseppe Bentivoglio, racconta la Zucconi, portò con sé una copia del libro di Evtusenko. Delle  poesie aveva colto non solo le parti più belle, ma anche le più significative e "utili".

Evgenij A. Evtusenko, "Non capirsi è terribile"

Vostro Onore,
lei è un figlio   di Troia!
In particolare si era entusiasmato per la storia di Stenka Razin, un capo cosacco che alla fine del Seicento aveva guidato una grande rivolta contadina ed era poi finito giustiziato sulla Piazza Rossa di Mosca. Sul punto di morire Razin fa una specie di bilancio della sua rivolta e ammette d'aver sbagliato fin dall'inizio ha creduto di combattere per uno "zar buono", ma nessuno zar può essere buono.
E' la triste frase che rimane nella “Storia di un impiegato”, il verso che dice che non ci sono poteri buoni e nella canzone “Nella mia ora di libertà”, viene direttamente da qui. Ecco il passaggio cui ci si riferisce: "Peccatore inoltre, perché pensavo di battermi per uno zar buono e non ci sono zar buoni, cretino Stenka. Tu muori per niente, non l'hai capito cretino!". Pochi versi più avanti ecco un altro spunto ripreso da Fabrizio. Stenka guarda la folla che assiste alla sua condanna: "E attraverso i musi, le grinte, i grugn dei gabellieri, dei cambiamonete, come riflessi fra la foschia, Stenka venne vide e Vise". Come non riandare con la mente ai suoi indimenticabili affreschi o pennellate dalla vivacità epica: “tante le grinte, le ghigne, i musi, poche le facce, tra loro lei”.
La vendetta
come      contesto
dell'album, è la rivolta studentesca del 1968, il famoso Maggio francese che aveva unito per la prima volta la protesta degli studenti a quella degli operai, dilagando a macchia d'olio quasi in tutto il mondo occidentale. Anche l'Italia era stata percorsa da quella protesta spontanea.
Università e fabbriche occupate, valori nuovi alla ribalta, dal pacifismo all'antirazzismo, dal femminismo ai temi ambientali alla lotta al potere. Ma l'innesco era stato in Francia e il "maggio francese" resta nella storia come un momento cruciale che ha lasciato il segno. Durante la presentazione dell'album, Fabrizio De André, intervistato dalla traduttrice Fernanda Pivano riportata sul retro di copertina di un libro: "Avrò avuto diciott'anni quando ho letto Spoon River. Mi era piaciuto, forse perché in quei personaggi trovavo qualcosa di me. Nel disco si parla di vizi e virtù: è chiaro che la virtù mi interessa di meno, perché non va migliorata. Invece il vizio lo si può migliorare: solo così un discorso può essere produttivo".


Dato l'impegno del  tema, e soprattutto alcuni passaggi non semplici, l'album uscì corredato da un ampio "libretto" a cura di Roberto Dané, che raccontava la storia in prosa. La storia è quella di un impiegato, inteso come figura che non appartiene a nessuna classe. Né i capitalisti, né al proletariato. Una persona per bene, integrata nella società, che quando sente delle proteste degli studenti e degli operai la pensa come tutti, ancora la bomba in testa non trova spazio, come non trova la soluzione ai suoi problemi che non capisce neanche quali siano, se sono sempre quelli, sono cambiati, e se si, quali sono le modifiche?  
Gli capita
però di
ascoltare
la Canzone del Maggio con un'attenzione inconsueta, e comincia a farsi domande. E all'improvviso si rende conto di aver perso qualcosa, di essersi cullato troppo nel proprio perbenismo. Vorrebbe reagire, cambiare, ma si rende conto che ormai è tardi per unirsi ai ragazzi che protestano.
Così pensa di riscattarsi con un gesto, una protesta solitaria, una bomba. La bomba in testa. "Ma il '68 è stato una rivolta spontanea e il fatto che non sia riuscita forse è un bene, se è vero che il grosso problema di ogni rivoluzione è che, una volta preso il potere, i rivoluzionari cessano di essere tali per diventare amministratori" sostiene De André in una delle mie interviste, per la precisione al Palazzetto di Forlì durante il tour Le nuvole. Palazzetto pieno con la gente fuori che reclamava di voler entrare.
Faber, narra, in “Tre sogni diversi” (Al ballo mascherato, Sogno numero due e Canzone del padre, tutti brani complessi, che richiedono l'attenzione di chi l'ascolta non si può ascoltare questo disco parlando d'altro) quasi come entrare in un incubo, una dimensione metafisica, surreale. 

S’immagina di reagire contro i miti nei quali è cresciuto e infine di comparire davanti a un giudice, non per essere condannato, bensì accolto nelle file di chi gestisce il potere per neutralizzarlo dandogli una responsabilità che immobilizzi le sue idee e le renda paralitiche. Resosi conto di vivere una vita fatta di illusioni e delusioni, si risveglia sudato e intirizzito.


A quel punto
              é     deciso
a passare dall'intenzione ai fatti, a gettare una bomba contro il parlamento (Il bombarolo). La prepara con cura meticolosa, pregustando il momento dell'esplosione, per poi fallire nella traduzione in pratica: la bomba finisce per rotolare ed esplodere miseramente presso un chiosco di giornali.
Ci fu sgomento nell'anima del bombarolo, umiliato dallo scoppio di un chiosco di giornali, come dopo quell'album anche De André si ritrovò in crisi, fuori vena artistica. Disse De André: "Effettivamente in quel periodo ero in crisi e, piuttosto che non scrivere nulla, mi sembrò giusto mettermi a tradurre". Poi se uscì con Crueza de mà e il mondo si aprì in due come si fa con un arancia. Paolo Villaggio, l'amico di Faber, quello più vicino da sempre, disse che quando l'ascoltò per la prima volta, ormai svenne e disse: "Ma Fabrizio... è un capolavoro!".
 L'impiegato, protempore bombaralo,
arrestato e finisce in galera, e da lì scrive una lettera d'amore alla sua donna (Verranno a chiederti del nostro amore). Nel carcere, in mezzo ad altri tutti uguali a lui, tenta ancora una protesta individualista rinunciando alla sua ora di libertà, per poi rendersi conto che solo attraverso un'azione collettiva - per esempio rinchiudere i secondini durante l'ora di libertà - si può veramente ottenere qualcosa (come Nella mia ora di libertà). Capisce soprattutto che la rivolta individuale è solo un fatto estetico, narcisista, alla fine frivolo, scoprendo che è necessaria invece un'azione collettiva per cercare di muovere le pedine sullo scacchiere.
Si tratta, come dice il titolo al tritolo, di un'introduzione, di una premessa a tutto l'album. È la situazione "pregressa", il punto di vista della gente comune di fronte ai ragazzi del Maggio francese che lottano così "come si gioca", solo perché hanno il tempo "anche per la galera". Alla fine, tutto rimarrà come prima. Come Storia di un impiegato serra un avvicendamento nella carriera artistica di Faber per cominciare ad aprire i confini oltre le Colonne d'Ercole assieme a Mauro Pagani, che partono senza spostarsi dalle loro comode poltrone e sommersi di libri e cianfrusaglie che fosse da ispirazione, proprio come fece Salgari nei suoi racconti in India.


lunedì 23 marzo 2015

Le guerre di Piero

 Aveva il tuo stesso identico umore
  ma la divisa di un altro colore

Le canzoni hanno un senso, non perché possano evitare le guerre: non è facendo canzoni contro i conflitti bellici che si eviteranno le guerre. 
Tuttavia esse entrano a far parte del patrimonio culturale di un popolo, sono parte della coscienza, se non altro a livello subliminale. Dunque possono essere un buon deterrente. Questa, è la loro importanza

Le guerre di Piero


        di Matteo Tassinari
Non vi è   dubbio: "La guerra di Piero" è undelle più famose canzoni scritte in Italia contro la guerra, entrata a pieno titolo, come tale, nelle antologie e nel patrimonio della nostra cultura scritta da Faber. Fabrizio De André ne era particolarmente soddisfatto, anzi scriverei più che entusiasta della canzone prodotta: "La guerra di Piero", anche se temeva i relativi effetti di "imbalsamazione". Cioè? Argomento acuto e pulsante per De André quello della imbalsamazione culturale e immaginifica. Ha sempre pensato che uno comincia a scrivere per divertirsi e divertire gli altri. Se ha culo, addirittura lo istituzionalizzano, così invece di rimanere un cantautore, una persona normale, finisce per essere una cosa che si va a vedere poi al Museo Egizio di Torino, ahimè. T'imbalsamano. Ecco le parole di Faber a Mollica del TG1:
"Un modo per imbalsamarti - disse De André - è quello di mettere una tua canzone magari su un'antologia scolastica. Non dico che non ci tengo, perché anch'io ho il mio amor proprio, anch'io sono un piccolo borghese, e in qualche misura mi hanno pure istituzionalizzato, quindi figurati se non ci tengo. Però c'è il rischio di rimanere ingessati, impalcati in figure che senti non corrisponderti. E questo da molto fastidio". Un tema, da sempre, molto caldo per Fabrizio quello di essere libero da ogni condizionamento culturale o anche solo intellettuale, dove lo spazio per sparare cazzate è maggiore. L'importante per lui era avere il proprio distacco da tutto, affinché ognuno abbia integra la propria libertà.  
Biagio Buonomo, 
uomo di grande cultura e acutezza intellettuale e scrittore oltre che autore del libro: “Fabrizio De André. Le storie, la storia questa canzone", costituisce il vertice più alto della poesia deandreiana, insieme, probabilmente, a "Crueza de mà", dove il mescolio di dialetti e note e strumenti mediterranei e odori e visioni. Non per niente fu quella che fece nascere in Fernanda Pivano il desiderio di conoscerne l'autore per poi innamorarsene e viceversa da parte di De André. Da qui nacque la collaborazione sui testi di Edgar Lee Master e una sorta di collaborazioni coi poeti della Beat Generation.
  Faber
      aveva      affrontato
il tema della guerra in modo molto diretto già con “La ballata dell'eroe”, ma è solo con “La guerra di Piero” che riesce a colpire veramente nel segno. Tant'è che le due canzoni verranno proposte nel 1964 in uno stesso 45 giri. La ballata nasce dalle storie raccontate al piccolo Fabrizio dallo zio Francesco che aveva fatto la campagna d'Albania e poi, preso prigioniero, aveva trascorso due anni in un campo di concentramento a Mannheim correndo anche il rischio di passare per il forno crematorio.
Da quella
esperienza
non era riuscito a riprendersi mai più e quel poco che ne raccontò, di malavoglia, su sollecitazione di Fabrizio e del fratello Mauro, bastò per lasciare un segno profondo e indelebile nell'animo dei due ragazzi.
La canzone racconta di un Piero qualsiasi che deve lasciare i suoi campi durante l'inverno per avviarsi alla guerra, con l'animo di chi è costretto a farlo ("te ne vai triste come chi deve"). Punto di riferimento stilistico è sempre quello di Georges Brassens, versi colti come rose e girasoli "costretti" a guardare il sole, a loro non fa male agli occhi.
Edith Piaf
      A nulla
     valgono
    le voci
dei morti in battaglia -"chi diede la vita ebbe in cambio una croce" - che gli dicono di fermarsi. E così, mentre il tempo passa "con le stagioni a passo di giava" si ritrova, in primavera, a varcare il confine a lui sconosciuto. Per inciso, la giava è un ballo nato ed entrato in gran voga in Francia dopo la prima guerra mondiale, il cui nome deriva dall'isola omonima. Per avere un'idea del suo ritmo - una specie di misto tra una mazurka e un valzer viennese - si può ascoltare “L’accordeoniste”, canzone del 1942 cantata da Edith Piaf: "Au son de la musique... Arrêtez la musique!"

     Poetar      narrante
O "Petit cabanon", canzone degli anni Trenta eseguita da interpreti diversi. Una somiglianza a tratti non banale si riscontra con il ritmo del deandreaiano: S'ì' fosse foca, arderei, s'ì fosse vento, lo tempesterei, s'ì fosse acqua, ì l'annegherei. S'ì fosse Dio, manderei l'en profondo, s'ì fosse papa sarè allor giocondo che tutti i cristiani imbrigherei, s'ì fosse 'mperator sa che farei? A tutti mozzerei lo capo a tondo, s'ì fosse morte andarei da mio padre. S'ì fosse vita fuggirei da lui similmente faria da mì madre. S'ì fosse Cecco il bello come sono e fui, "torrei" le donne giovani e leggiadre e vecchie e laide le lassarei ad altrui. Ma chi scrive cose così, adesso? Pochissimi, si contano sulla dita di una mano, the must Cecco Angiolieri! Tutta poesia mancante, nell'era di Simona Ventura e Maria De Filippi!


L'anima
sulle spalle
Segue  la strofa che è marchiata a fuoco nell'anima di chiunque l'abbia ascoltata che aveva il tuo stesso identico umore ma la divisa di un altro colore. Due uomini resi diversi e separati solo da un pezzo di stoffa, da onorificenze per altri morti in altre guerre di Piero. Le immagini usate lungo tutta la canzone sono di una bellezza lancinante ma queste, nella loro semplicità, se possibile, le superano. L'anima portata "in spalle" perché non si può andare in guerra avendola nel cuore e poi il nemico, esattamente uguale a te, con il "tuo stesso identico umore", solo "la divisa di un altro colore e mentre marciavi con l'anima in spalle vedesti un uomo in fondo alla valle".
Il dovere impone a Piero
di uccidere il nemico e così si appresta a fare. Ha solo un breve pensiero, un'incertezza, un'esitazione, un impaccio d'amore, uno scrupolo, un tentennamento che gli costerà il sangue caldo che scorre nelle vene di Piero, un indugio sul come e magari anche sul perché sparare a quell'uomo in fondo alla valle? Perché uccidere quella persona che neanche sapeva cosa avesse fatto nella sua breve vita. Quest'incertezza gli sarà fatale, divenendo deleterio come un chiodo da catafalco questo sua impasse d'amore, di vita ardente, ed era maggio, nel frastuono colorato di un campo di papaveri rossi. Il nemico, uguale a lui ma con maggior paura in corpo, lo vede, spara e lo uccide senza neanche pensarci, quasi, viene da pensare, per puro istinto di conservazione.
Foto di Robert Capa

Ninetta mia morire di maggio,
ci vuole troppo coraggio
Piero capisce subito di essere stato colpito a morte e sente, mentre cade a terra le forze venire meno, che il suo tempo dilegua rapido, non gli basterà nemmeno per "chieder perdono per ogni peccato". Muore così, con un pensiero alla sua Ninetta e con l'amaro dispiacere di morire di maggio, il fucile ancora in pugno e in bocca parole "troppo gelate per sciogliersi al sole". Ora dorme sepolto all'ombra e in compagnia di mille papaveri rossi, poco più in la un'altro Piero, poi un'altro ancora, poi poco più in la, un altro ancora. Un campo che apre tutto alla vita, ma fra i suoi arbusti nasconde morte di guerra, quel drago proveniente da tutti i mari glaciali, un'ultima Thule dove ogni desiderio sarà spento per sempre.
Evaporato in
una nuvola      rossa
La musica, ancora di stile brasseniano, fu composta da Fabrizio insieme a Vittorio Centanaro nato a Genova e a Genova morto nel 2011 e primo chitarrista di Faber e compositore italiano, che al proposito ricorda: "Fabrizio era un geniaccio per i testi ma di musica ne masticava ancora pochina: quando poi abbiamo scritto insieme “La guerra di Piero” facendo molto affidamento sulle mie capacità. Sua e mia moglie chiacchieravano fra loro, noi due lavoravamo alla canzone, che poi andammo a incidere a Roma. lo non potevo firmarla, poiché non ero iscritto alla SIAE, così fu depositata a nome solo suo".
La canzone    non ebbe  
un successo immediato. Nelle parole di Fabrizio. Quando uscì "La guerra di Piero", rimase praticamente invenduta. Divenne un successo clamoroso solo cinque anni dopo, con il boom della protesta, con Dylan, Donovan e compagnia folk beat generation. S'incanalò nelle serie dei grandi successi mondiali, da lì, de André, spiccò il volo, artisticamente.
Allan Bob Zimmerman da giovine
      E’ chiaro che qui
     il riferimento è
all'arrivo e al successo delle canzoni di Dylan in Italia. Dylan in realtà aveva scritto “Blowin in the wind”, il suo manifesto pacifista, nel 1962, un anno prima della Guerra di Piero. Sono stati proposti e approfonditi richiami 19 (magari fortuiti) tra “La guerra di Piero” e una poesia, “Le dormeur du val” (L'addormentato nella valle), di Rimbaud e una canzone di Gustave Nadaud, “Le soldat de Marsala”. La poesia di Rimbaud, scritta nel 1870, descrive un giovane soldato immerso nella natura. Sembra dormire nel sole. Ha però due fori sul costato. È morto. Oltre all'analogia più generale, tematica, sono stati indicati tratti lessicali precisi, dallo stesso "giovane soldato" che "dorme" al "ruscello". Inoltre, anche nella poesia di Rimbaud il tono narrativo è interrotto da un'invocazione del narratore, qui in realtà rivolta alla Natura e non al soldato. Una canzone semplice, ma topica proprio per la sua immediata comprensibilità, per la sua immediata cognizione. Come se quella di Piero, per spontanea creazione umana, fosse la guerra di tutte le guerre.
Jean Nicolas Arthur Rimbaud
Non sappiamo se Faber conoscesse

i versi rimbaudiani,
probabilmente sì. Ma mentre la poesia suscita dispiacere per il soldato morto la canzone va molto oltre, sottolineando l'orrore e l'assurdità della morte tra "uguali" ma dalla divisa di diverso colore e questo non era tollerabile. Molto più vicina a "La canzone di Piero", appare la canzone di Gustave Nadaud, celebre chansonnier francese e autore di alcune memorabili canzoni a sfondo politico e sociale, tra queste la famosa "Le roi boîteux", ripresa e cantata anche da Georges Brassens, forse l'autore più amato da De André, anzi senza forse.  
Gustave Nadaud
Sconosciuto
Naudad
Nadaud, nessuno lo conosce, eppure lui è stato, forse, il primo cantautore in senso moderno pur essendo nato nel 1820. Nel 1861, parlando dei garibaldini, racconta in un brano, di due soldati di opposte fazioni che si incontrano, armano il loro fucile e sparano. Qui il protagonista della canzone è però quello che non sbaglia il colpo e uccide un soldato del Re appena ventenne. Compiuto il fatto se ne dispiace, chiede perdono al nemico ucciso e lo consola nei suoi ultimi istanti di vita. Eccone un breve brano: “Un giorno ero solo nella piana quando mi ritrovo davanti un soldato d'appena vent'anni che portava i colori del Re. Oli vedo spianare il fucile: era suo diritto. Io armo il mio, lui fa quattro passi, io ne faccio quattro, lui mira male, io miro bene”. Osservando il testo della poesia del giovane poeta francese, il livello discorsivo è frammentato da imprecazioni.