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martedì 26 maggio 2015

Hotel Supramonte

 All'hotel
Supramonte
        di Matteo Tassinari
Hotel Supramonte sono due metri e mezzo per uno e mezzo quadrati, forse addirittura triangolari, in cui Dori e De André sono stati conservati per quattro mesi in maniera decente, addirittura brillante, a detta dei sequestrati. Perché non hanno sofferto molto la fame e la sete, abbiamo sofferto un po' il freddo, ma non hanno tagliato neanche nessun orecchio. Sono due metri e mezzo per uno e mezzo quadrati o triangolari di bosco dalle parti della Gallura occidentale.
Tormento
e dolore
Un luogo dove si scrisse una drammatica pagina della loro storia durante i 4 mesi e mezzo di prigionia, in un posto sperduta in Gallura dove la sensibilità e l'umanità, alla fine, hanno vinto. Il dolore e il tormento di questa vicenda sono leniti da delicata armonia che ha il sapore di un leit motiv melodico. La ripetizione di certe aggettivi come: "passerà anche questa stazione, passerà questa pioggia sottile..." è, in forma trasposta, il "vedrai che andrà tutto bene". E' il brano più pulito e povero dell'album definito l'Indiano anche se un titolo autentico non l'haQuanto sia profondo ed intriso di sensazioni questo testo è incredibile, e un miscuglio di visioni e abbagli, certezze e profonde insicurezze, un aumentare in crescendo di presentimenti ed emozioni, suggestioni e sospetti. Un mare su cui navigare con le mura sempre a destra e mia sinistra, quando i marinai possono fumarsi anche una sigaretta e rilassarsi un poco. 
Il titolo        è
Supramonte

Un Massiccio montuoso dell'entroterra sardo, nascondiglio dei più famosi latitanti dell'isola, inteso come una sorta di albergo in cui far soggiornare gli ospiti, che non vorrebbero essere tali. Hotel Supramonte è una canzone con una doppia chiave di lettura, una di De André e una di Bubola. Inizialmente c'era una canzone di Massimo Bubola. L'aveva scritta, così tanto per scrivere qualcosa, racconta, in un albergo in cui passava le vacanze e faceva serate. A Faber toccò il ruolo del perfezionista, o dell'esteta raffinato meticoloso, laddove nasceva la versione iniziale scritta da Bubola.
Infatti 
il testo
necessitava di qualche nuvola volante che Faber sapeva inventare con sensibilità plasmabile riusciva a non farsi sfuggire nessun carpe diem., con una voce che sapeva imprimere ulteriormente il senso alle parole e scolpiva come un martello le vocali ad un livello baso che nessuno raggiunse mai. Non è un segreto che quella voce profonda, a tratti quasi spettrale, cavernosa e cupa, capace di passare all'istante ad un timbro terso, fino ad un livello immacolato e limpido e diafano. Era un atto di puro e impareggiabile livello artistico, a cui nessuna scuola di canto poteva portare a far vibrare nell'aria. Netto come il coltello, nitido come il cielo, lustrato come i mocassini, specchiante per molti, brillante per tutti.
Il gioco degli opposti
In questo contesto fu scritta, appunto, Miramonti. Poi partì per il militare e al ritorno, rimessosi all'opera con De André nel bel 1980. A De André la canzone apparì molto affascinante e decise di lavorarci. Probabilmente Fabrizio sentiva che la struttura della canzone si prestava bene anche a raccontare le emozioni provate durante il rapimento. In tema c'era già stata una anticipazione, Stringimi piano, stringimi forte, nell'album di Dori Ghezzi Mamadori (1980), in questa isola incantata che è anche la terra matrigna del "banditismo", un humus culturale che Faber riuscì con tanta arte e arnesi riuscì a proiettare e comunicare al mondo come una grande lezione, artistica e di vita.
Il debito del popolo sardo
Per questo ritengo che il popolo sardo sia in debito con l'uomo Fabrizio De André. Poi ci ripenso e dico, ma la Sardegna da tutto nel suo splendore, e dev'essere ciò che ha pensato anche lui quando ha scelto di finire i suoi giorni lì, in quella perla sul mare. Fabrizio De André, in Sardegna, nella tenuta dell’Agnata, in mezzo alle campagne di Tempio Pausania, ci viveva 8 mesi su 12 da circa 25 anni  assieme a Dori Ghezzi, con la quale ha trascorso quattro mesi proprio nel cuore (malato) della Sardegna, ha detta degli stessi sardi, insieme all’Anonima Sarda. Lui, quel periodo, lo chiamò “Hotel Supramonte”, una catena montuosa dell'entroterra sardo, nascondiglio dei più famosi latitanti dell’isola, dove Faber vide la notte e la neve col freddo e Dori una donna in fiamme.
Massimo Bubola
       Era    stata   
    scritta da
un fantasista eclettico come come Massimo Bubola basandosi sui racconti e le sensazioni di Dori e Fabrizio durante il rapimento. Hotel Supramonte non ha introduzione musicale e la voce attacca subito e sembra che racconti un momento particolarmente difficile e delicato di due amanti, con un tono di pacato distacco.


Gli occhi
che non guardano
Dopo il sequestro, in molti gli hanno chiesto perché decise di rimanere in Sardegna e se aveva paura del reiterarsi del rapimento: No, ormai non ci rapiscono più. Nessuno me l'ha detto a voce, ma gli occhi hanno parlato chiaro. Sono protetto ora! E guai a chi mi tocca!”, dice ridendo. Il suo rapporto con la vita, natura, persone, codici di cultura e loro rispetto, una persona che intuiva lo stato d'animo, è che davvero, come nel caso di Princesa, il travestito a cui s'affezionò come amico, fino a fornirgli un'ingente parte della somma per l'operazione, il desiderio della vita, ora morta di aids da circa 10 anni, una fine a corollario di una vita infelice e piena di ogni disagio che vive ogni transessuale. 
Corsi d'acqua
De André costruisce tutta la canzone sugli opposti, la donna e l'uomo, la notte e il giorno, il riso e il pianto, il viaggio e l'immobilità, il sole e le nuvole, fin dall'inizio queste immagini complementari si rincorrono. Il riferimento al sequestro è subito svelato da quel nome impossibile, Hotel Supramonte. Nulla di più ammaliante e splendido sta nel raccontare con parole d'amore un atto di per se violento, che disconosce l'affetto, amicizia, ammirazione, cura, garbo e tutte le gioiose parole che vogliamo mettere. Atto superiore al descrivere la sofferenza e il dolore con i bellissimi paesaggi dell'Hotel Supramonte, figurarsi i corsi d'acqua del torrente, gli arbusti ed i rifugi?


Venne rilasciata prima
Dori Ghezzi e due giorni poi Fabrizio, dopo che il padre Giuseppe pagò un riscatto di oltre 550 milioni, il 22 dicembre del 1979 alle due del mattino, dopo una lunga trattativa. All'inizio, la mente del gruppo, che stava a Milano voleva 2 miliardi. Ma Faber, coerente alla sua fama di cantore di ultimi e gregari della vita, si costituì parte civile verso i mandanti, che per De André avevano quattrini a palate e questo non li motivava a fare un gesto terribile come quello di privare la libertà a un uomo e una donna.
Un posto tutto sommato
notevole come distensione, ma chi può nascondere anche un  segreto indicibile. Se non è un poeta, come lui che fino alla fine delle sue primavere e autunni ha smentito di esserlo, allora chi può esserlo? Forse ha proprio ragione lui, non è un poeta, è qualcosa di più, arrivato a dire che i veri prigionieri continuano a essere i sequestratori e non loro. Tanto è vero che loro siamo usciti ed i sequestratori sono ancora dentro, e se escono sono sicuri di prendersi una proiettile in testa.
De André con Dori Ghezzi e la piccola Luvi
Questa testimonianza di pietà
nascono anche da alcuni comportamenti che i rapitori avevano riservato ai loro "ospiti" e cioè quelli di permettere ai due di stare per diverso tempo slegati e senza bende. Di chi, invece, De Andrè non avrà mai pietà sono i mandanti di quel sequestro poichè persone agiate e prive di scrupoli. Quel luogo inospitale, quindi, anche rifugio per i latitanti del posto nella poetica di De André divenne un Hotel dove soggiornare in compagnia della propria partner pur esprimendo un forte senso di solitudine e di rassegnazione.
  E poi uno
  sguardo
verso il cielo perché legati alla catena e le due solitudini in cerca di uno sbocco comune, il fronteggiarsi di due angosce protese alla ricerca di un ordine discreto attraverso il quale frantumarsi o conciliarsi. Tra la 'una donna in fiamme' e 'un'uomo solo', la tensione ha il passo lento e flessuso, una melodia d'antan e una lettera che va e che viene e che cambia sempre significato col passare del giorno e della notte, perché tutto cambia di continuo. Quello che è vero ora non lo è più tra un po', questo il concetto basico, fondamentale.
I rapporti con il
mondo esterno, sono rari e sempre filtrati, difficile capire cosa fare. In questa situazione di immobilità, dove la realtà esterna è un sogno frustrato (la barca che si può solo scrivere ma non usare, il treno che non si può che perdere), l'unica possibilità è stringere i denti e sperare che passi: "passerà questa pioggia sottile, come passa il dolore". Fabrizio racconterà d'aver imparato ad apprezzare "il dormire senza una goccia che ti cade in testa, stare vicini, cercare tepore l'un l'altro, cercare il proprio amore sempre, come rifugio del momento drammatico. Anche quando sentivo bestemmiare qualcuno che non conoscevo, mi creava disagio. Qualcosa, nel profondo della mia anima era cambiata, uno scossa così roboante che non avrei mai immaginato. Spiegarla? "Non saprei proprio".
La canzone è staccata in tre track list e la penna rossa di Faber si vede e rivede ma se ti svegli e hai ancora paura ridammi la mano, cosa importa se sono caduto, se sono lontano, perché domani sarà un giorno lungo e senza parole.
 Senza Dori non


ce l'avrei fatta
Faber, il giorno del processo
Il tempo, è    un
signore     distratto
L'ultima strofa è un susseguirsi di immagini evocative: il letto del bosco che ormai ha il nome dell'amata Dori. Il tempo, che è un signore distratto, perché non passa mai in quelle condizioni di estrema paura, lo stringersi delle mani nelle mani per fronteggiare l’angoscia, il disagio, il timore, la continua attesa del domani che sarà ancora lungo e incerto, il ricercarsi nell'amore, unico conforto.
De Andrè durante il processo dove sembra irridere in faccia al giudice


In più di
un'occasione
Fabrizio
confessò che senza Dori non ce l'avrebbe fatta. Che fu tra i due, ad essere più forte, è stata certamente lei. Se fosse stato per lui avrebbe reagito e chissà dopo come sarebbe andata a finire. Intervistato il giorno dopo della liberazione di Faber e Dori da un gruppo di cronisti sardi, De André tracciò un racconto pacato dellesperienza vissuta assieme a Dori come i pastori, sotto gli alberi e qualche pagliericcio:
“ci consentivano, a volte, di rimanere a lungo con le mani slegate e senza i cappucci che ci avevano messo in testa per non vedere alcun segno che poteva diventare di riferimento. Spesso ci portavano salumi sardi, o il porceddù. Per questo non ho mai accusato i miei rapitori e non i mandanti”. Ebbe parole di pietà per i suoi carcerieri: “Noi ne siamo venuti fuori, mentre loro non potranno farlo mai e se lo faranno, è per prendersi un colpo di pistola in testa. Dopo questa tragica esperienza vissuta con Dori, posso dire di conoscere meglio il popolo sardo”.














Una lezione
alta e somma











Il tempo che      scorre
ma non passa 
Ecco così che la "parte deandreana" di Hotel Supramonte prende il sopravveto, assumendosi le forme di una bella canzone d'amore, che per Fabrizio voleva dire Dori. Anche per Bubola è più una canzone d'amore che il racconto di un rapimento. "Nel tempo, credo, tornerà ad essere, per chi non ha conosciuto la vicenda, una pura canzone d'amore vissuto" dice Bubola. Forse la lezione più alta, non è stata vincere la paura di morire, ma imparare a leggere il grigiore e la noia, la routine e la tristezza uggia del tempo che scorre ma sembra essere sempre allo stesso punto o piattume pesante del tempo che non passa mai. Caro Faber, ciò che adoravi era la tua Dori e il mondo che ti era attorno le cose che ti circondava. Ma la tua lezione è stata molto più alta e somma, l'amore, il senso di tutto e che guai a sciuparlo è l'unico diamante della nostra esistenza, senza terminare mai. 

venerdì 22 maggio 2015

Via dell'umiltà

Via della Povertà

      di Matteo Tassinari
Via della povertà, è la traduzione di Desolation Row (alla lettera, "vicolo della desolazione"), canzone di Bob Dylan pubblicata nel 1965 nel mitico album Hygway 61 Revisted. Si tratta di uno degli album tenuti in più alta considerazione dallo stesso Dylan, al punto che ebbe a definirlo "troppo riuscito", con molte delle cose che gli sarebbe piaciuto togliere, talmente era gonfio di diamanti. Nell'ambito di quel disco troppo fortunato per merito suo, Desolation Row è una delle canzoni reputate, sul piano della poesia, tra le più belle di Dylan, a detta di tutti critici mondiali.
Alessandro Carrera, traduttore di tutte, o quasi, le canzoni di Dylan in Italia, dice: “In Gran Bretagna e negli Stati Uniti è appena uscita una nuova edizione dell'Oxford Book of American Poetry, una delle antologie più prestigiose di poesia americana” riferendosi a Desolation row. Qualcosa da obiettare anche se io avrei scelto Hurricane?
La canzone
è       ricchissima
di citazioni, come è uno dei più alti esempi di lirismo poetico applicato ad una canzone pop o rock che dir si voglia, a partire dal titolo che probabilmente deriva dai romanzi della Desolation Angels di Jack Kerouac e Cannery Row di John Steinbeck. Il testo surreale, sul tipo di Al ballo mascherato, dove tante celebrità sono descritte in un contesto "insolito". Tutta fantasia versata a terra,  e adesso ridi e ti versi un cucchiaio di mimosa nell'imbuto di un polsino slacciato.
Se considerare Desolation Row
il compendio del declino e dell'esaurimento della civiltà occidentale o invece un luogo in cui tutti i miti vengono distrutti per dare spazio alla realtà della vita, spettrale e desolata, gioiosa e brillante viene vista nella sua intera verità. La si trattava, appunto, di un ballo mentre qui tutti si trovano nel "vicolo della Desolazione", che con la maestria di cui è capace solo Dylan, dipinge un affresco che altro non è che uno spaccato umano di personaggi che offrono uno vissuto con occhi visionari.
Poetica e tecnica
Negli oltre dieci minuti di Desolation Row, Dylan porta all'estremo la propria tecnica poetica di estrapolazione dal contesto le figure di personaggi storici e letterari, da Einstein a Elliot, trasformandoli in immagini emblematiche della commedia umana. Da Romeo a Cenerentola, da Caino ad Abele, dal Gobbo di Nothre Dame, da Einstein a Casanova, i protagonisti di Desolation Row sembrano sospesi tra solitudine e attesa come in un dipinto di Edward Hopper, in lotta per portare a compimento il proprio destino contro un mondo che sembra rinnegare il loro vero volto, quello della salvezza di via della povertà. 
Più profeta che     poeta
Faber stesso osservò in un'intervista che questa canzone è a tutti gli effetti e fino in fondo una canzone da menestrello, come lo spettacolo che aveva visto al carnevale quando era bambino. In  61 Revisted, Desolation Row è l'ultima canzone del disco e anche l'unica che non registra l'uso di chitarre elettriche, mentre in Canzoni è quella che apre l'album. Nel 1973, quando De André, influenzato dal giovane De Gregori, con cui aveva cominciato da poco a collaborare, scelse questa canzone, Bob Dylan era già molto famoso in tutto il mondo. Il suo successo più noto in Italia, la celeberrima Blowin in The Wind, uscito nel 1963. Nel 1984 Fabrizio ebbe a dire, a proposito del "menestrello d'oltreoceano": "Dylan l'ho tradotto, ed è un ottimo poeta. Mi piace come mi piacciono Ginsberg e Corso, ma con qualcosa in più, mentre gli altri due si rifanno alla tradizione hippy, Bob Dylan si rifà alla Bibbia, è più profeta che poeta, quindi mi affascina di più".
Sembra intravvedere il recupero della salvezza
una volta bambina, mediante l’emblematico e l’allegorico che offre candidamente l’album, come con la mitica Like a Rolling Stone, un itinerario, un’escursione individuale. E’ l’arteria dell’individuo tramite i propri epici eroi e le proprie desolazione, capendo l’estrema relatività del tutto e il conciliarsi alla complessità dell’autentico con arnesi e utensili freschi e inediti. L’epifania di tutti nella Via della povertà sarà solo un batter ciglio, con il percorso sempre specifico e privato, ma relativo, sempre personale. L'adattamento/traduzione è notevole, come sempre una traduzione che coniuga un'alta corrispondenza con il testo originale e un uso mirabile delle risorse linguistiche. Il testo è molto complesso proprio perché surreale ed ermetico e non è il caso di cercare di capirlo verso per verso: meglio farsi suggestionare dalle immagini che ne scaturiscono.









Qui   intendiamo seguirlo lungo 
il procedere delle strofe, con un'attenzione particolare alle differenze tra originale e adattamento e l'indicazione di possibili chiavi di lettura. “Le cartoline dell'impiccagione sono in vendita a cento lire l'una”, le storie e i personaggi dylaniani della prima strofa ci sono tutti, anche se Dylan inizia con le "cartoline dell'impiccagione" che De André mette invece al quinto verso.
Le     cartoline
dell'impiccagione 


si riferiscono alla pratica, tutt'altro che rara all'epoca, della segregazione razziale, al farsi fotografare in posa accanto ai corpi di afroamericani linciati e impiccati e vendere poi le foto come souvenir. Sappiamo che un episodio del genere accadde anche nella città, di Bob Dylan, Duluth, nel 1920, quando suo padre aveva otto anni, ed è possibile che Dylan abbia avuto modo di vedere quelle cartoline che narrano la pietà all'orrore.



Anche il    verso
(non tradotto da De André) che recita "il circo è arrivato in città" potrebbe riferirsi allo stesso episodio. Un altro verso non tradotto è il secondo nella canzone originale: pitturano i passaporti di marrone. Il riferimento potrebbe essere a un'associazione tra le persecuzioni razziali contro i neri e la diaspora degli ebrei sopravvissuti allo sterminio nazista e rimasti senza patria, quindi con un passaporto da apolidi, chiamato in gergo "'brown passport". Cenerentola sembra così facile, ogni volta che sorride ti cattura, mentre l'alba sta uccidendo la luna e le stelle si son quasi nascoste. L'inizio della terza strofa è un bell'esempio di traduzione poetica: Dylan dice alla lettera "ora la luna si è quasi nascosta", De André incentra l'immagine dell'alba che sta "uccidendo" la luna. I personaggi ci sono quasi tutti: Caino, Abele, il Buon Samaritano. Manca, stranamente, il gobbo di Notre Dame. 

Il fantasma dell'Opera si è vestito da prete
La quarta strofa è un po' rimaneggiata. Bob Dylan la dedica tutta all'asessuata Ofelia con un accenno al grande arcobaleno di Noè. Nella versione di Fabrizio invece vengono prima i quattro versi "in più" relativi ai Re Magi, a Gesù Bambino, a Hyde e Jekyll e quella figura di Ofelia, restano solo versi.
Arriva anche Einstein travestito da ubriacone che ha nascosto i suoi appunti in un baule creando scompiglio nell’umanità. La strofa dedicata a Einstein, a parte la mancata menzione di Robin Hood, è piuttosto vicina all'originale mentre la sesta strofa della canzone di Bob Dylan (dedicata al Dottor Lercio) non è stata tradotta. La strofa che parla del Fantasma dell'Opera è ripresa con lo stesso significato. Anzi, qui De André elimina l'oscurità che era presente nella prima versione di Dylan, dove non era chiaro chi aveva l'aspetto di un prete. Con tonalità sbigottita, canta come a dire: "Che centra un prete con il Fantasma dell'opera?". 
 No Virection Home
Fabrizio dice subito che si tratta proprio del Fantasma dell'Opera, come si ascolta da Dylan stesso nella Alternate Take apparsa sulla colonna sonora di No Virection Home, un film di Martin Scorsese del 2005. Riferendosi alla tragedia del Titanic, cita una elabora una strofa micidiale “E bravo Nettuno mattacchione, il Titanic sta affondando nell'aurora, nelle scialuppe i posti letto sono tutti occupati e il capitano grida, ce ne stanno ancora", Anche le ultime tre strofe non riservano grandi sorprese, nel senso che sono traduzioni nello stile di De André e seguono piuttosto fedelmente l'originale, lasciando le tracce identiche alla versione della sorgente, come si dice in gergo, mettendo in rilievo solo le sfumature, laddove si poteva in qualche modo o misura chiosare il quid del poeta. Fabrizio De André percorse questo spartito musicale.
La morte del progresso
"Nettuno,
mattacchione"
La settima e l'ottava strofa sono in ordine invertito, Nella settima strofa il "Nettuno di Nerone" diventa un "Nettuno mattacchione" (De André). A proposito della menzione di Ezra Pound e Thomas Eliot, nota Bob Dylan: "Quello che so di Ezra Pound è che aveva simpatizzato per i nazisti durante la seconda guerra mondiale e che aveva fatto trasmissioni antiamericane alla radio italiana, quel che basta per mandarlo affanculo. Non l'avevo mai letto, mentre mi piaceva quel tanto che appena basta, Thomas Elliot, lui sì che si poteva leggere", era l’idea di Faber pur mantenendo le distanze da entrambi e così permettersi il gusto di sbeffeggiare entrambi corrotti dal loro sapere.
Ofelia è dietro la finestra,
mai nessuno le ha detto che è bella,
a soli ventidue anni,
è già una vecchia zitella.
L'apice della
suggestione

Una ridda di sonetti surreali, che pone in evidenzia, un po' come nel Ballo mascherato, personaggi della saga e della fantasia letteraria, con sarcasmo e gusto dell’assurdità, nonsenso, antinomia e assurdità. Un testo che ricopre ogni angolo paradossale prevedibile in ogni contraddizione e controsenso, mantenendo un alto tasso e dose d’ironia. L'ottava strofa, dedicata alle forze dell'ordine, vede l'inserimento di Adolf Hitler con la macabra minaccia di far passare tutti i prigionieri dal camino.


L'ultima strofa contiene
invece alcune sottili variazioni. Anzitutto sulla "gente di cui mi parli", Bob Dylan dice di conoscerli e di averli dovuti riordinare mentre De André, con il suo "è gente come tutti noi / non mi sembra che siano mostri / ma non sembra che siano eroi" dà una chiave di lettura, che suggerisce l'atteggiamento, che gli è caro, del non giudicare, ma offrire agli altri finestre affinché siano gli altri a giudicare.
La libertà fantasma
o nascosta di De André, sta proprio tutta qui. Anche la chiusa è diversa. Entrambi raccomandano di non mandare più notizie, che non ci sono più. di non telefonarmi più pur ringraziando dell'amore dimostrato. Ma mentre Dylan dice "a meno che non me la mandi da Vicolo della desolazione", De André afferma l'opposto: "nessuno ti risponderà / se insisti a spedirmi le tue lettere / da Via della povertà". Nel primo caso si accetta la comunicazione solo se arriva da Desolation Row, nel secondo caso la si rifiuta se arriva da Via della povertà. Nei concerti live, nelle varie versioni con il testo cambiato, De André tornerà al significato originario di Bob Dylan. Per esempio: "nessuno te le leggerà / se non provi a raccogliere notizie / da Via della povertà".
Foto ispirata al personaggio di Penelope, per De André l'ideale di donna del mondo omerico, un vero e proprio modello di comportamento, sintesi, bellezza, regalità, pudore, fedeltà e astuzia. Per 20anni, sostenuta dalla sua incrollabile speranza, continua ad attendere il ritorno dell'uomo che ama. Forse domani, o forse il giorno dopo, o anche quello prima. Il tempo mescola le cose. Ancora lui tornerà

Il        passaggio
 dal vecchio al nuovo
Via della povertà fu cantata nella sua veste originale nei primi concerti del tour del 1975, ma non appena prese un po' più di confidenza con il suo pubblico Fabrizio De André, dopo anni di insicurezza e terrore vero e proprio del suo pubblico stesso, cominciò a proporla in una versione decisamente più intrigante, più politica, più coraggiosa se vogliamo dir così, intitolandola Via della dittatura con moltissimi riferimenti a fatti e personaggi della vita politica italiana, e continuando a cambiarla e aggiornarla con il passare del tempo. Così da Almirante si passa a Signorile, da Covelli a Francisco Franco. E’ difficile sapere quante variazioni Fabrizio fece di questa canzone che in un suo manoscritto è intitolata Via della dittatura.


Via del Campo era, ai tempi in cui fu scritta, una tra le vie più povere e degradate di Genova, città natale di De André. Qui vivevano i ceti sociali più bassi. De André descrive la prostituta con parole nobili. La donna, visti i riferimenti naturalistici di De André, che nei suoi brani ha sempre scandito le stagioni della vita, sembra essere così nel fiore degli anni. 
Via del campo c'è una graziosa
gli occhi grandi color di foglia
tutta notte sta sulla soglia
vende tutti la stessa rosa  
Per rimanere in tema
Al concerto per la Festa dell'Unità di Rimini del 15 settembre 1975, per esempio, Fabrizio la presentò così: "Di questa canzone ce ne sono due versioni, una è la traduzione quasi letterale del Desolation Row di Bob Dylan. L'altra invece l'abbiamo portata in giro durante il periodo pre elettorale, quindi apportando al testo numerose diversità dall'originale. Si racconta anche di personaggi che, se non strettamente legati alla politica da un punto di vista professionale, l'hanno in ogni caso condizionata negli ultimi vent'anni, portaborse, fiduciari, alter ego, factotum, uomini d'alta finanza. Ce ne sono di molto antipatici. Ce ne sono anche di simpatici, pochi davvero splendidi, come un gioiello sopra un mucchio di letame, tanto per restare in tema".