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martedì 26 maggio 2015

Hotel Supramonte

 All'hotel
Supramonte
        di Matteo Tassinari
Hotel Supramonte sono due metri e mezzo per uno e mezzo quadrati, forse addirittura triangolari, in cui Dori e De André sono stati conservati per quattro mesi in maniera decente, addirittura brillante, a detta dei sequestrati. Perché non hanno sofferto molto la fame e la sete, abbiamo sofferto un po' il freddo, ma non hanno tagliato neanche nessun orecchio. Sono due metri e mezzo per uno e mezzo quadrati o triangolari di bosco dalle parti della Gallura occidentale.
Tormento
e dolore
Un luogo dove si scrisse una drammatica pagina della loro storia durante i 4 mesi e mezzo di prigionia, in un posto sperduta in Gallura dove la sensibilità e l'umanità, alla fine, hanno vinto. Il dolore e il tormento di questa vicenda sono leniti da delicata armonia che ha il sapore di un leit motiv melodico. La ripetizione di certe aggettivi come: "passerà anche questa stazione, passerà questa pioggia sottile..." è, in forma trasposta, il "vedrai che andrà tutto bene". E' il brano più pulito e povero dell'album definito l'Indiano anche se un titolo autentico non l'haQuanto sia profondo ed intriso di sensazioni questo testo è incredibile, e un miscuglio di visioni e abbagli, certezze e profonde insicurezze, un aumentare in crescendo di presentimenti ed emozioni, suggestioni e sospetti. Un mare su cui navigare con le mura sempre a destra e mia sinistra, quando i marinai possono fumarsi anche una sigaretta e rilassarsi un poco. 
Il titolo        è
Supramonte

Un Massiccio montuoso dell'entroterra sardo, nascondiglio dei più famosi latitanti dell'isola, inteso come una sorta di albergo in cui far soggiornare gli ospiti, che non vorrebbero essere tali. Hotel Supramonte è una canzone con una doppia chiave di lettura, una di De André e una di Bubola. Inizialmente c'era una canzone di Massimo Bubola. L'aveva scritta, così tanto per scrivere qualcosa, racconta, in un albergo in cui passava le vacanze e faceva serate. A Faber toccò il ruolo del perfezionista, o dell'esteta raffinato meticoloso, laddove nasceva la versione iniziale scritta da Bubola.
Infatti 
il testo
necessitava di qualche nuvola volante che Faber sapeva inventare con sensibilità plasmabile riusciva a non farsi sfuggire nessun carpe diem., con una voce che sapeva imprimere ulteriormente il senso alle parole e scolpiva come un martello le vocali ad un livello baso che nessuno raggiunse mai. Non è un segreto che quella voce profonda, a tratti quasi spettrale, cavernosa e cupa, capace di passare all'istante ad un timbro terso, fino ad un livello immacolato e limpido e diafano. Era un atto di puro e impareggiabile livello artistico, a cui nessuna scuola di canto poteva portare a far vibrare nell'aria. Netto come il coltello, nitido come il cielo, lustrato come i mocassini, specchiante per molti, brillante per tutti.
Il gioco degli opposti
In questo contesto fu scritta, appunto, Miramonti. Poi partì per il militare e al ritorno, rimessosi all'opera con De André nel bel 1980. A De André la canzone apparì molto affascinante e decise di lavorarci. Probabilmente Fabrizio sentiva che la struttura della canzone si prestava bene anche a raccontare le emozioni provate durante il rapimento. In tema c'era già stata una anticipazione, Stringimi piano, stringimi forte, nell'album di Dori Ghezzi Mamadori (1980), in questa isola incantata che è anche la terra matrigna del "banditismo", un humus culturale che Faber riuscì con tanta arte e arnesi riuscì a proiettare e comunicare al mondo come una grande lezione, artistica e di vita.
Il debito del popolo sardo
Per questo ritengo che il popolo sardo sia in debito con l'uomo Fabrizio De André. Poi ci ripenso e dico, ma la Sardegna da tutto nel suo splendore, e dev'essere ciò che ha pensato anche lui quando ha scelto di finire i suoi giorni lì, in quella perla sul mare. Fabrizio De André, in Sardegna, nella tenuta dell’Agnata, in mezzo alle campagne di Tempio Pausania, ci viveva 8 mesi su 12 da circa 25 anni  assieme a Dori Ghezzi, con la quale ha trascorso quattro mesi proprio nel cuore (malato) della Sardegna, ha detta degli stessi sardi, insieme all’Anonima Sarda. Lui, quel periodo, lo chiamò “Hotel Supramonte”, una catena montuosa dell'entroterra sardo, nascondiglio dei più famosi latitanti dell’isola, dove Faber vide la notte e la neve col freddo e Dori una donna in fiamme.
Massimo Bubola
       Era    stata   
    scritta da
un fantasista eclettico come come Massimo Bubola basandosi sui racconti e le sensazioni di Dori e Fabrizio durante il rapimento. Hotel Supramonte non ha introduzione musicale e la voce attacca subito e sembra che racconti un momento particolarmente difficile e delicato di due amanti, con un tono di pacato distacco.


Gli occhi
che non guardano
Dopo il sequestro, in molti gli hanno chiesto perché decise di rimanere in Sardegna e se aveva paura del reiterarsi del rapimento: No, ormai non ci rapiscono più. Nessuno me l'ha detto a voce, ma gli occhi hanno parlato chiaro. Sono protetto ora! E guai a chi mi tocca!”, dice ridendo. Il suo rapporto con la vita, natura, persone, codici di cultura e loro rispetto, una persona che intuiva lo stato d'animo, è che davvero, come nel caso di Princesa, il travestito a cui s'affezionò come amico, fino a fornirgli un'ingente parte della somma per l'operazione, il desiderio della vita, ora morta di aids da circa 10 anni, una fine a corollario di una vita infelice e piena di ogni disagio che vive ogni transessuale. 
Corsi d'acqua
De André costruisce tutta la canzone sugli opposti, la donna e l'uomo, la notte e il giorno, il riso e il pianto, il viaggio e l'immobilità, il sole e le nuvole, fin dall'inizio queste immagini complementari si rincorrono. Il riferimento al sequestro è subito svelato da quel nome impossibile, Hotel Supramonte. Nulla di più ammaliante e splendido sta nel raccontare con parole d'amore un atto di per se violento, che disconosce l'affetto, amicizia, ammirazione, cura, garbo e tutte le gioiose parole che vogliamo mettere. Atto superiore al descrivere la sofferenza e il dolore con i bellissimi paesaggi dell'Hotel Supramonte, figurarsi i corsi d'acqua del torrente, gli arbusti ed i rifugi?


Venne rilasciata prima
Dori Ghezzi e due giorni poi Fabrizio, dopo che il padre Giuseppe pagò un riscatto di oltre 550 milioni, il 22 dicembre del 1979 alle due del mattino, dopo una lunga trattativa. All'inizio, la mente del gruppo, che stava a Milano voleva 2 miliardi. Ma Faber, coerente alla sua fama di cantore di ultimi e gregari della vita, si costituì parte civile verso i mandanti, che per De André avevano quattrini a palate e questo non li motivava a fare un gesto terribile come quello di privare la libertà a un uomo e una donna.
Un posto tutto sommato
notevole come distensione, ma chi può nascondere anche un  segreto indicibile. Se non è un poeta, come lui che fino alla fine delle sue primavere e autunni ha smentito di esserlo, allora chi può esserlo? Forse ha proprio ragione lui, non è un poeta, è qualcosa di più, arrivato a dire che i veri prigionieri continuano a essere i sequestratori e non loro. Tanto è vero che loro siamo usciti ed i sequestratori sono ancora dentro, e se escono sono sicuri di prendersi una proiettile in testa.
De André con Dori Ghezzi e la piccola Luvi
Questa testimonianza di pietà
nascono anche da alcuni comportamenti che i rapitori avevano riservato ai loro "ospiti" e cioè quelli di permettere ai due di stare per diverso tempo slegati e senza bende. Di chi, invece, De Andrè non avrà mai pietà sono i mandanti di quel sequestro poichè persone agiate e prive di scrupoli. Quel luogo inospitale, quindi, anche rifugio per i latitanti del posto nella poetica di De André divenne un Hotel dove soggiornare in compagnia della propria partner pur esprimendo un forte senso di solitudine e di rassegnazione.
  E poi uno
  sguardo
verso il cielo perché legati alla catena e le due solitudini in cerca di uno sbocco comune, il fronteggiarsi di due angosce protese alla ricerca di un ordine discreto attraverso il quale frantumarsi o conciliarsi. Tra la 'una donna in fiamme' e 'un'uomo solo', la tensione ha il passo lento e flessuso, una melodia d'antan e una lettera che va e che viene e che cambia sempre significato col passare del giorno e della notte, perché tutto cambia di continuo. Quello che è vero ora non lo è più tra un po', questo il concetto basico, fondamentale.
I rapporti con il
mondo esterno, sono rari e sempre filtrati, difficile capire cosa fare. In questa situazione di immobilità, dove la realtà esterna è un sogno frustrato (la barca che si può solo scrivere ma non usare, il treno che non si può che perdere), l'unica possibilità è stringere i denti e sperare che passi: "passerà questa pioggia sottile, come passa il dolore". Fabrizio racconterà d'aver imparato ad apprezzare "il dormire senza una goccia che ti cade in testa, stare vicini, cercare tepore l'un l'altro, cercare il proprio amore sempre, come rifugio del momento drammatico. Anche quando sentivo bestemmiare qualcuno che non conoscevo, mi creava disagio. Qualcosa, nel profondo della mia anima era cambiata, uno scossa così roboante che non avrei mai immaginato. Spiegarla? "Non saprei proprio".
La canzone è staccata in tre track list e la penna rossa di Faber si vede e rivede ma se ti svegli e hai ancora paura ridammi la mano, cosa importa se sono caduto, se sono lontano, perché domani sarà un giorno lungo e senza parole.
 Senza Dori non


ce l'avrei fatta
Faber, il giorno del processo
Il tempo, è    un
signore     distratto
L'ultima strofa è un susseguirsi di immagini evocative: il letto del bosco che ormai ha il nome dell'amata Dori. Il tempo, che è un signore distratto, perché non passa mai in quelle condizioni di estrema paura, lo stringersi delle mani nelle mani per fronteggiare l’angoscia, il disagio, il timore, la continua attesa del domani che sarà ancora lungo e incerto, il ricercarsi nell'amore, unico conforto.
De Andrè durante il processo dove sembra irridere in faccia al giudice


In più di
un'occasione
Fabrizio
confessò che senza Dori non ce l'avrebbe fatta. Che fu tra i due, ad essere più forte, è stata certamente lei. Se fosse stato per lui avrebbe reagito e chissà dopo come sarebbe andata a finire. Intervistato il giorno dopo della liberazione di Faber e Dori da un gruppo di cronisti sardi, De André tracciò un racconto pacato dellesperienza vissuta assieme a Dori come i pastori, sotto gli alberi e qualche pagliericcio:
“ci consentivano, a volte, di rimanere a lungo con le mani slegate e senza i cappucci che ci avevano messo in testa per non vedere alcun segno che poteva diventare di riferimento. Spesso ci portavano salumi sardi, o il porceddù. Per questo non ho mai accusato i miei rapitori e non i mandanti”. Ebbe parole di pietà per i suoi carcerieri: “Noi ne siamo venuti fuori, mentre loro non potranno farlo mai e se lo faranno, è per prendersi un colpo di pistola in testa. Dopo questa tragica esperienza vissuta con Dori, posso dire di conoscere meglio il popolo sardo”.














Una lezione
alta e somma











Il tempo che      scorre
ma non passa 
Ecco così che la "parte deandreana" di Hotel Supramonte prende il sopravveto, assumendosi le forme di una bella canzone d'amore, che per Fabrizio voleva dire Dori. Anche per Bubola è più una canzone d'amore che il racconto di un rapimento. "Nel tempo, credo, tornerà ad essere, per chi non ha conosciuto la vicenda, una pura canzone d'amore vissuto" dice Bubola. Forse la lezione più alta, non è stata vincere la paura di morire, ma imparare a leggere il grigiore e la noia, la routine e la tristezza uggia del tempo che scorre ma sembra essere sempre allo stesso punto o piattume pesante del tempo che non passa mai. Caro Faber, ciò che adoravi era la tua Dori e il mondo che ti era attorno le cose che ti circondava. Ma la tua lezione è stata molto più alta e somma, l'amore, il senso di tutto e che guai a sciuparlo è l'unico diamante della nostra esistenza, senza terminare mai.